Di Massimiliano Sarti, il 09/10/2014 su
Job in Tourism
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Umberto Caselli, 42 anni di attività alle spalle, una vita dietro al bancone del bar dell’hotel Michelangelo di Milano prima del suo ritiro dall’operatività nel 2001, è il presidente della neonata Associazione barman italiana, Abi professional: una nuova realtà di categoria, costituitasi ufficialmente presso l’Una Cusani hotel del capoluogo lombardo lo scorso 10 settembre, alla presenza di ben 47 soci fondatori, la maggior parte dei quali di provenienza Aibes (Associazione italiana barman e sostenitori). E dall’Aibes arriva anche lo stesso Caselli, già alla guida dallo storico consesso dei professionisti della miscelazione nazionale e tutt’ora presidente onorario dell’International bartenders association (Iba). «L’interesse attorno alla nostra nuova iniziativa è davvero grande, tanto che in questi pochi giorni di vita abbiamo già superato le 1.500 visite alla pagina Facebook. Entro la fine dell’anno contiamo perciò di raggiungere quota 400-500 soci. Per ora ci siamo dati un’organizzazione articolata, dotata di un consiglio nazionale (per i nomi si veda l’articolo apparso su Job in Tourism dello scorso 25 settembre, ndr), di una serie di responsabili dislocati lungo quasi tutto il territorio nazionale, nonché di alcuni comitati ad hoc, dedicati alla didattica e alla cura dei rapporti interni ed esterni. Con i produttori, in particolare, miriamo a costruire rapporti di partnership per iniziative mirate, ma non prevediamo la loro presenza diretta in associazione, nel ruolo di “sostenitori” o altre figure consimili».
Domande. Mi sembra che abbiate già le idee molto chiare...
Risposte. Diciamo che non è una mossa improvvisata: sono già due anni che lavoriamo a questo progetto, le cui fondamenta abbiamo peraltro condiviso anche con molti altri colleghi al di fuori della cerchia dei soci fondatori.
D. In effetti, sarebbe altrimenti impossibile pensare di raggiungere quota 500 in pochi mesi. A proposito: chi si può iscrivere all’Abi Professional?
R. Qualsiasi professionista in grado di dimostrare almeno cinque anni di esperienza nel ruolo. Ma abbiamo pure un’accademia, in cui pensiamo di far entrare i giovani tra i 18 e i 28 anni, per aiutarli a crescere e a formarsi nella professione.
D. Quali sono, ora, le prossime tappe?
R. Agli inizi di novembre avremo una riunione del consiglio nazionale, durante la quale faremo il punto della situazione e definiremo con più precisione i nostri programmi, che partiranno ufficialmente da gennaio 2015.
D. A cosa pensate esattamente?
R. A iniziative volte a valorizzare la professione: manifestazioni, corsi, qualche competizione ma senza eccedere... L’idea è soprattutto quella di dare visibilità all’attività dei barman. Stiamo poi attivando anche una partnership, a fini formativi, con la Confesercenti di Bergamo, così come intendiamo collaborare pure con le scuole alberghiere.
D. Cosa pensate di fare con l’Iba?
R. Ci piacerebbe affiliarci, ma purtroppo per ora è impossibile, perché accettano solo un’associazione per nazione.
D. Passando ai temi della professione: quali sono, a suo parere, gli scenari attuali?
R. Il mondo, negli ultimi anni, è molto cambiato e con esso anche il nostro mestiere. Prenda per esempio lo stesso concetto di professionalità: un tempo si traduceva esclusivamente nella classica figura del barman in giacca e cravatta dietro al bancone di qualche bar importante; oggi, invece, si possono trovare ottimi professionisti pure nei locali di tendenza o nelle discoteche: grandi artisti della miscelazione al lavoro in camicia e qualcuno persino con qualche tatuaggio in bella mostra.
D. L’abito non fa più la qualità, quindi?
R. Assolutamente no: il classico, per carità, va sempre bene, perché non passa mai di moda. Ma ciò non vuol dire che non ci si debba aprire al cambiamento e conoscere le nuove tendenze. Tanto più che molte opportunità oggi si trovano proprio al di fuori dei bar d’albergo tradizionali, dove le diffuse politiche di contenimento dei costi hanno contribuito a ridurre sensibilmente il numero di risorse impiegate. E poi, anche dal punto di vista dei prodotti, praticamente ogni giorno ormai esce qualcosa di nuovo.
D. Come si fa, in effetti, a districarsi in tale proliferare di proposte inedite? Come riconoscere , in altre parole, ciò che vale dalle mode passeggere?
R. Per la verità, questo è proprio uno degli obiettivi di Abi professional: organizzare eventi con la stessa funzione delle sfilate di moda; occasioni in cui mostrare il meglio tra le idee nuove in circolazione, in modo che, chi vi assiste, possa prendere spunti utili al proprio lavoro quotidiano.
D. Un’altra tendenza degli ultimi anni riguarda poi la crescente diffusione, anche tra il pubblico, delle necessità legate a un bere consapevole. Una tendenza sicuramente positiva, che tuttavia ha pure contribuito a ridurre il consumo di bevande alcoliche. Qual è la vostra posizione su questo tema?
R. Sebbene ciò possa a volte contrastare con le esigenze di fornitori e direzioni dei locali, noi crediamo fortemente che il ruolo di un barman sia quello di far bere in modo moderato ma di qualità: preferiamo avere cento clienti con un cocktail in mano, piuttosto che venti avventori ubriachi con cinque bicchieri davanti al tavolo. Anche perché, se chi viene da noi sta bene, inevitabilmente tende a tornare.
D. Un’ultima domanda: quali caratteristiche personali deve avere oggi un buon barman?
R. Le basi non cambiano: un buon barman è prima di tutto un confessore laico, sempre pronto ad ascoltare i clienti. Gli occorre, quindi, una buona preparazione psicologica e una sostanziosa dose di sensibilità. Deve inoltre essere una figura in grado di gestire un bar, nonché disposta a mantenersi sempre aggiornata e abile nel curare i rapporti con la proprietà o la direzione. Non gli possono poi mancare neppure quelle doti formative utili a educare i collaboratori più giovani. Ma soprattutto, come amava dire il past president Iba, Michel Bigot, un barman non è un barman se non sa preparare i cocktail.
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